Tuesday, November 22, 2011

Il Viaggio

Qualche giorno fa pensavo alla bellezza di viaggiare, incontrare nuove persone e scoprire nuove culture. Poco dopo mi sono imbattuto in una copia del mio tema di maturità. Il caso?

Il turista non è il viaggiatore: le cose, e non gli esseri umani, sono oggetto della sua predilezione. Viaggiare dovrebbe essere tutt'altro: fermarsi più a lungo e girare di meno. Chi vuole davvero viaggiare dev'essere a conoscenza del fatto che è meglio un'esperienza spazialmente più limitata ma carica di emozioni e sensazioni, piuttosto che un gran numero di immagini che al termine del viaggio si affastellano l'una dietro l'altra nella memoria, senza quasi più un ordine logico. Il vero viaggiare è un'operazione complessa, che necessita della collaborazione e della consapevolezza del viaggiatore: non è cosa da poco, non è soltanto uno spostamento, è molto di più.

Il viaggio è perenne lontananza: dice Soldati che «mentre la meta si avvicina e diventa reale, il luogo di partenza si allontana e sostituisce la meta nell'irrealtà dei ricordi». Non potremo mai essere ovunque: saremo sempre assaliti dal desiderio di trovarci in un altro luogo, rischiando di non godere delle bellezze che ci circondano in quel momento.
Il viaggio è però anche memoria: Affinati, sul Corriere della Sera, scriveva: «quando parto cerco di trovare, innanzitutto, le ragioni del ritorno». Ci si abitua ai nuovi luoghi, si entra nella mentalità del posto che si visita, si conoscono nuove persone... È facile per l'uomo immedesimarsi in una nuova cultura, ambientarsi in un nuovo paese, e si rischia così di lasciarsi alle spalle le proprie origini, di non voler più tornare indietro. Il viaggiatore non deve mai dimenticare chi è realmente.
Il viaggio è compagnia: è avere sempre al proprio fianco qualcuno, un amico, con cui parlare, con cui scontrarsi, litigare, ridere, piangere, in cui convogliare le proprie paure, al quale affidare le proprie gioie, per avere sempre qualcuno su cui poter contare nei momenti di bisogno.
Il viaggio è strada: dover mettere un piede dietro l'altro, in salita, in discesa, con il sole, con la pioggia, d'estate o d'inverno, senza mai fermarsi, quasi in una sorta di "simbiosi mistica": il viaggiatore senza strada non è più tale, e la strada senza viaggiatore che motivo ha di essere?
Il viaggio è saper riconoscere i propri limiti: chi viaggia non può ambire a conoscere tutto lo scibile umano. Come dice Virgilio nel IV libro delle Ecloghe, «si parva licet componere magnis», possiamo paragonare l'uomo alla formica, che non riuscirà mai a consocere tutti i meandri e tutte le pieghe della corteccia dell'albero che ospita il suo formicaio: non ha abbastanza tempo, deve sapersi limitare, deve saper scegliere.
Il viaggio è fantasia ed immaginazione: scriveva il greco Kavafis, nella sua poesia "Itaca", che dobbiamo aspettarci il meglio dalla meta del nostro viaggio, senza però voler bruciare tutte le tappe per giungere subito alla fine, senza fretta: visiteremo paesi lontani, luoghi sconosciuti, vedremo popoli stranieri, animali meravigliosi, sempre pensando alla meta del nostro ulissiaco viaggio, immaginandocela bellissima. E quando giungeremo ad Itaca, forse ne rimarremo delusi, perché non è esattamente come la immaginavamo: è troppo spoglia, scarna. Ma non importa, perché ci rimane impresso dentro tutto quello che abbiamo già visto e vissuto. Forse, come dice Citati, il paese che immaginavamo giallo è verde, mentre quello che pensavamo rosso è in realtà celeste. I luoghi dei due viaggi, quello fantastico e quello reale, non sempre coincidono, rischiando di lasciarci delusi. Ma nessuno deve rinunciare a viaggiare con la fantasia, a immaginarsi paesi lontani, a sognare, perché perderebbe un viaggio anche più bello di quello reale.
Il viaggio è incertezza: secondo Magris l'Ulisse odierno non assomiglia a quello omerico, sicuro di sé e razionale, o joyciano, che dal visitare Dublino trae memorie e ricordi, grazie alle sue epifanie. L'uomo è sempre più incerto nel trovare se stesso. Il moderno Ulisse è quello del folle volo dantesco che, impavido e sprezzante del pericolo, va oltre i confini del mondo, spinto da una disperata sete di conoscenza, e ad un passo da essa, quando sta per afferrarla, arriva il nulla, viene inghiottito dalle acque e si perde nell'infinito. Oppure, meglio ancora, è come l'Ulisse di Pascoli, che ripercorre al contrario il tragitto del viaggio da lui compiuto in gioventù, per rivisitare i luoghi delle mille avventure di un tempo ma, inesorabilmente, si accorge che nulla di tutto ciò esiste e in preda alla disperazione arrivato allo scoglio delle sirene si avvicina sempre di più e più in fretta chiamandole e sperando di trovarle ma quando si accorge che nella realtà esse non esistono è troppo tardi e la nave si schianta, affonda, Ulisse affoga. Ma a cercar bene non c'è motivo di disperarsi: una risposta c'è, va solo trovata: il corpo di Ulisse, infatti, giunge tragicamente sulle rive dell'isola di Calypso, dove la donna che esisteva realmente trova il corpo e piange per la morte dell'eroe. Non tutto è un'illusione. La possibilità di trovare noi stessi c'è sempre: non dobbiamo sprecarla.
Il viaggio è purtroppo anche obbligo: migliaia e migliaia di persone sono costrette, ogni anno, ad emigrare dal loro paese e a rifugiarsi come esuli altrove. È una condizione, questa, che rende il viaggio terribile, frustrante, insopportabile. Alcuni dei "grandi esuli" della nostra letteratura ci hanno trasmesso dolorose immagini di questa condizione: Quasimodo, in Vento a Tindari, sottolinea come sia "amaro" da rompere il pane straniero («amaro pane a romepere»), mentre Dante ci dice esplicitamente «quanto sa di sale lo pane altrui». Sempre, però, anche nella sofferenza, si dovrebbe aspirare ad una condizione di felicità interiore, sorridendo e cantando anche nelle difficoltà, per evitare di lasciarsi andare e di deprimersi.
Il viaggio è, in sintesi, la vita: Todorov la definisce proprio come un «viaggio dalla nascita alla morte». È piuttosto una sorta di viaggio in treno: saliamo alla nostra stazione e ci sediamo al posto che ci è stato assegnato. Troviamo vicino a noi persone sconosciute, mai viste, e cogliamo un'occasione insignificante come un bel paesaggio che si scorge dal finestrino, per avviare una conversazione. Il treno prosegue veloce, le stazioni si susseguono, e intanto noi conosciamo sempre meglio i nostri compagni di viaggio, il carattere burbero dell'imprenditore che è seduto di fronte a noi, il fare scherzoso della signorina al posto vicino al nostro, la silenziosità del vecchietto che legge il giornale appoggiato al finestrino. E intanto la stazione d'arrivo s'avvicina. Quando stiamo per arrivare ci alziamo e prendiamo i nostri bagagli, salutiamo i nostri compagni di viaggio e ci avviciniamo alle porte del vagone. Ecco la stazione d'arrivo, guardiamo per l'ultima volta i nostri compagni di viaggio e scendiamo. Loro hanno ancora molta strada da fare: buon viaggio!

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