Thursday, February 2, 2012

Etimologia del Bemolle

Quando si inizia a studiare musica, in un momento non meglio precisato degli studi (non meglio precisato perché nessuno, credo, è in grado di ricordarselo) si entra in contatto con le alterazioni. I bemolle, i diesis e i bequadro prima, i doppi bemolle e i doppi diesis dopo cominciano a comparire sempre più spesso sugli spartiti. E uno ci si abitua in fretta, stonatura dopo stonatura.

E ci si abitua talmente tanto, che i simboletti $\flat$, $\sharp$ e $\natural$ diventano un'abitudine per gli occhi.

Però... Perché un bemolle si chiama bemolle?!



Per capire da dove esce fuori questo nome, occorre partire da una storia che risale a un bel po' di anni fa (più di quanti si creda).

Fin dai tempi della musica greca, passando poi per quella romana e andando avanti fino al canto gregoriano, la musica si basava sui cosiddetti "modi". Un modo non è altro che una successione ordinata di intervalli. Sui nomi degli intervalli c'è stato, nella storia un gran caos. Siccome nasce tutto dalla musica greca (di cui non ci è rimasto un gran che) i nomi dei modi sono stati sempre associati a quelli degli antichi popoli greci, anche se è molto in dubbio il fatto che quest'associazione sia corretta, ossia che il modo "dorico" fosse stato proprio della musica in Doria. Anzi, si sa che alcuni nomi sono stati assegnati proprio a caso. Ma questa è un'altra storia.

Quello che si sa per certo, studiando il canto gregoriano, è che i modi erano (almeno dai tempi dei romani) talmente fissi che si potrebbe quasi associarli ad una scala. Infatti, un modo cominciava sempre dalla stessa nota. Se si cambiava nota iniziale, si stava cambiando modo.

Nel nostro mondo moderno quasi tutto oramai funziona con il Temperamento equabile (o equalizzato), in cui il rapporto di frequenze che identifica il semitono temperato è il numero (irrazionale) $\sqrt[12]{2}$. Questa scelta crea delle piccolissime imperfezioni negli intervalli, impercettibili quasi all'orecchio, che consentono però una possibilità completa di modulazione da una qualsiasi tonalità ad un'altra tonalità qualsiasi. Ciò piacque talmente tanto a Bach che, nel 1722, scrisse Il Clavicembalo ben Temperato, per mostrare quali fossero le vere potenzialità di questa "nuova" accordatura.

Ma tornando ai modi... Sfruttando un'accordatura temperata (ad esempio quella di un pianoforte), trovare gli antichi modi è molto molto facile. Basta infatti costruire delle scale di sette note partendo dai vari tasti ed utilizzando soltanto tasti bianchi (mi perdonino questa semplificazione i teorici della musica!).

Ed abbiamo così, partendo dal re, il modo dorico; partendo dal mi, il modo frigio; partendo dal fa, il modo lidio; partendo dal sol, il modo misolidio. Proprio come in questa figura:



Ora, questi erano i modi propri anche del canto gregoriano. Ma se quel canto affonda le sue radici nel passato, nel tempo il gusto delle persone incomincia a cambiare. E (cosa che accade anche a noi se li ascoltiamo oggi), in alcuni passaggi tendono a risultare cacofonici. In particolare, se frigio e misolidio ci suonano "arcaici" o in alcuni passaggi soltanto più tristi (sul frigio si potrebbe aprire un discorso enorme, visto che alcuni tratti si ritrovano anche nella musica popolare napoletana), alcuni ci suonano proprio "sbagliati", soprattutto gli altri due: il dorico e il lidio.

Successe, allora, che nell'evoluzione del canto gregoriano, i cantori incominciarono ad abbellire questi due modi. In particolare, nel dorico cominciarono ad abbassare il sesto grado di un semitono, e nel lidio il quarto grado. Caso particolarissimo, in entrambi i modi si trattava della nota "si", che veniva abbassata.

Questa "lieve" modifica (se lieve si può chiamare un abbassamento di un semitono!!!) generava un suono molto più morbido. E, sempre per caso, la nota "si"  in antichità veniva chiamata "be", e per descrivere questa "morbidezza" si utilizzava l'aggettivo "molle". Quindi, il bemolle, non è altro che un "si morbido".

Tuttavia, questi modi "più morbidi" venivano chiamati ancora dorico e lidio.

Un bel giorno, all'incirca nel 1547, il signor Heinrich Loriti (noto anche come Glareano o Glariano o Glareanus) scrisse un libro, il Dodekachordon, in cui prese atto di quello che stava accadendo nel mondo della musica e decise che era arrivato il momento di smettere di prendersi in giro: quello che veniva chiamato "dorico" non era più dorico, e lo stesso valeva per il "lidio".

Nella migliore tradizione, quindi, prese a caso altri due aggettivi derivanti da nomi di popoli greci, l'eolico e lo ionio, e traspose quella sequenza di intervalli, sempre per poter usare solo tasti bianchi. E così l'eolico partì dal la, e lo ionico partì dal do.
E, senza nemmeno rendersene conto, nacquero i modi minore e maggiore. Infatti, il "la eolico" non è altro che il nostro moderno la minore eolico, ed il "do ionico" non è altro che il "do maggiore". Tant'è che il dorico con il "si più morbido" non è nient'altro che il re minore e il lidio con il be molle non è altro che il fa maggiore.

Come nota storica, Glariano costruì anche il modo locrio, usando solo tasti bianchi sulla nota si. Si tratta di una tonalità "teorica", perché al suo interno contiene l'intervallo si-fa, una quinta diminuita, o tritono, che è una delle maggiori dissonanze della scala diatonica (e che tende a risolvere verso gradi vicini, una di quelle cose che se lo fate a un esame al conservatorio vi bocciano senza chiedervi neppure il nome).

Poi, nel tempo, si iniziò a trasporre. Si perse sempre di più l'associazione tra modo e nota di partenza. E quindi nacquero il "do frigio", il "fa misolidio", il "si ionico" e così via. Ma per rispettare gli intervalli, non si potevano più utilizzare soltanto tasti bianchi, e per utilizzare le note proprie delle varie scale era necessario indicare sugli spartiti un abbassamento di un semitono qua e là. E per fare questo si continuò ad utilizzare il simboletto $\flat$, che nel tempo prese il nome della nota che ne aveva richiesto l'utilizzo per la prima volta: bemolle.

Come ultima nota storica, arriva Guido d'Arezzo. Egli è colui che diede i nuovi nomi alle note musicali, quelli che i popoli latini utilizzano (a parte il do) ancora oggi. Cambiò infatti i nomi da C, D, E, F, G, A (il do corrispondeva alla C perché la nomenclatura partiva dal la) in ut, re, mi, fa, sol, la. I nomi li prese da Ut Quean Laxis, un inno liturgico dei Vespri della solennità di San Giovanni Battista:


Il testo della prima strofa recita infatti:

«Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Iohannes »
«Affinché possano cantare
con voci libere
le meraviglie delle tue azioni
i tuoi servi,
cancella il peccato
del loro labbro contaminato,
o san Giovanni»


Il nome della nota si venne aggiunto poi in seguito nel XVI secolo dall'abbreviazione di Sancte Iohannes.

Fu poi Giovanni Battista Doni che, nel 1600, sostituì ut con do per ragioni eufoniche (provate a cantare una nota lunga dicendo "uttttttttttttt").

In ogni caso, Guido d'Arezzo chiamò il si di cui ho parlato tanto fin'ora "b rotundum", per contrapporlo a quello dal suono più spigoloso che chiamò, appunto, "b quadrum". Bequadro. $\natural$. Tutto torna!

7 comments:

  1. Questa era veramente interessante :D !!
    Grazie per la curiosità e anche per avermi fatto ripassare i modi :P (parecchio che non li rivedevo)!

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  2. Bello, bello!
    Tanto per aggiungere una curiosità... Si citano spesso i tasti bianchi e quelli neri in questo articolo, eppure non è sempre stato così. Nella chiesa del paesino dove vado d'estate in vacanza c'è un organo del '600 che è stato restaurato un paio d'anni fa; con l'occasione, sono andato a sentirlo suonare e, finita la musica, sono salito sul campanile (dove ci sono i manuali e una piccolissima pedaliera) e ho chiacchierato con l'organista, che mi ha fatto notare come fossero presenti solo tasti bianchi! Diesis e bemolli erano comunque presenti, ma erano tasti come gli altri: bianchi e delle stesse dimensioni, indistinguibili dagli altri.
    Articolo molto intereessante! Grazie!

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  3. Sì, è vero, tasti "bianchi" e "neri" è una convenzione più moderna, si è visto di tutto nella storia... I clavicembali dell'epoca di Mozart, ad esempio, avevano i colori invertiti!

    L'organo con tutti i tasti bianchi mi piace moltissimo, è una scelta musicalmente molto più corretta, perché la distinzione di colore porta molto spesso a pensare che quelli bianchi sono "naturali" e quelli neri no... Il che fa tanti tanti casini nella mente di chi inizia a studiare musica (e anche di chi suona da tanto, molto spesso).

    @Alice: per te che suoni la chitarra, essendo uno strumento traspositore, i modi sono una cosa sicuramente più facile da mettere in pratica! :)

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  4. Mi sono anche permesso di modificare il post aggiungendo un pezzetto su Guido d'Arezzo, a cui si deve il nome "bequadro" :)

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  5. Sì, con la chitarra sicuramente è più semplice..se ben ricordo ad ogni modo corrispondono determinate posizioni e per iniziare da un'altra nota basta traslare di qualche tasto :) !

    eheh, dell'ut e da dove veniva lo sapevo (settimana enigmistica docet XD) ...ma a questo punto la domanda sorge spontanea...e il diesis :D ?

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  6. Sul diesis mi sto ancora documentando... Ho trovato molte meno fonti e parecchio discordanti tra loro! :)

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  7. Ah, hai modificato l'ultima parte! Avevo notato una differenza, risfogliando l'articolo, ma mi era venuto il dubbio che fossi stato io a saltarla per errore durante la prima lettura! :-D
    Un altro strumento interessante è la fisarmonica a bottoniera (o cromatica), in cui appunto i tasti sono tutti uguali e sono disposti in maniera particolarmente comoda per le musiche in scala cromatica; su Youtube si trovano video di persone che suonano il Volo del calabrone di Rimsky-Korsakov su fisarmonica cromatica e vedere le dita muoversi sui bottoni ricorda veramente il movimento delle ali del calabrone. (un esempio è questo: http://www.youtube.com/watch?v=NVbulZ-5-8o&sns=em )

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